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30/05/2012 11:15:59 |
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chinellato ora difendili i tassisti
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ROMA - Undici tariffe fisse, da e per gli aeroporti: con aumenti del 20 per cento per quelle già esistenti - da 40 a 48 euro per la tratta dal centro storico a Fiumicino, da 30 a 35 dall’interno delle Mura Aureliane a Ciampinoe viceversa - e l’introduzione di nuovi prezzi stabiliti per le destinazioni più varie: dal porto di Civitavecchia alle principali stazioni ferroviarie (Termini, Tiburtina e Ostiense) alla Fiera di Roma, da Fregene all’area di Parco de’ Medici. A fissarle è la seconda delibera sulle nuove tariffe dei taxi romani, approvata ieri dalla commissione capitolina mobilità. Il via libera della giunta (non serve un ulteriore passaggio in consiglio comunale) era previsto per oggi, ma la trasferta di Gianni Alemanno nelle zone del terremoto potrebbe farlo slittare di qualche giorno.
Niente ricevuta. Per l’assessore Antonello Aurigemma si tratta della fine di un lungo percorso per il varo del nuovo regolamento comunale - che riguarda auto bianche, noleggio con conducente e botticelle - anche se manca ancora l’introduzione della ricevuta automatica. Si passa dai 120 euro per un tragitto dal porto di Civitavecchia al centro storico della Capitale (e viceversa) ai 35 che si dovranno sborsare per andare dal Leonardo da Vinci a Fregene o all’entroterra del Municipio XIII (Axa, Casalpalocco, Infernetto). Da Fiumicino alle stazioni si pagheranno 55 euro per Tiburtina, 48 per Termini (che si trova all’interno delle Mura Aureliane) e 45 per Ostiense. Insomma, si vuole limitare l’uso del tassametro, almeno per i tragitti in taxi più utilizzati dai turisti e da chi viene nella Capitale per lavoro.
Tariffa massima. Allo studio c’è anche un tetto massimo (80 euro) per le corse su tratte comprese tra l’aeroporto di Fiumicino e qualsiasi punto all’interno del grande raccordo anulare. Ma questa opzione non compare nel testo esaminato ieri dalla commissione mobilità, e potrebbe essere contenuta in un futuro provvedimento.
Le reazioni. Critiche alla delibera arrivano dal centrosinistra. Per Fabrizio Panecaldo, vice capogruppo del Pd, si tratta di «un vero e proprio rebus per chi dovrà prendere il taxi, alla faccia della trasparenza e contro tutti quei tassisti onesti che dovranno continuare a subire le angherie dei furbacchioni che, con questo nuovo scenario, avranno buon gioco». Secondo Panecaldo, infatti, «alle scellerate tariffe sulle corse con partenza dagli aeroporti verso la periferia della città, che potranno costare oltre 80 euro e danneggeranno gi utenti e gli stessi tassisti, che vedranno sottrarsi consistenti fette di mercato da chi potrà offrire un servizio a prezzi più bassi, ora si aggiunge il caos».
I consensi. Di parere diametralmente opposto Roberto Cantiani, Pdl, presidente della commissione mobilità. «Con questa delibera si completa il percorso sulle tariffe dei taxi, con prezzi fissi che sono stati stabiliti su simulazioni fatte dall’Agenzia per la mobilità, in modo che siano comunque favorevoli per gli utenti - sostiene Cantiani - È un’operazione a totale garanzia del cittadino, per contrastare le truffe ai danni dei clienti e il fenomeno dell’abusivismo». Ma il Pd considera «grave che la delibera sui taxi sia passata in Giunta senza prevedere l’introduzione della ricevuta automatica - sottolinea Ancora Panecaldo - La ricevuta era l’unico punto qualificante della riforma Alemanno sui taxi, ai cittadini ora rimangono solo gli aumenti».
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24/04/2012 14:52:49 |
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ora ho capito...è morta per la disperazione.. povera donna
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Cesare Prandelli: «Basta ai tabù sull'omosessualità nel calcio»
L'appello dell'allenatore della Nazionale nella prefazione al libro di Cecchi Paone e Flavio Pagano
«LO SPORT RISPETTI L'INDIVIDUO» - «Nel mondo del calcio e dello sport - continua l'allenatore azzurro - resiste ancora il tabù dell'omosessualità, mentre ognuno deve vivere liberamente sè stesso, i propri desideri e i propri sentimenti. Dobbiamo tutti impegnarci per una cultura dello sport che rispetti l'individuo in ogni manifestazione della sua verità e della sua libertà».
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17/04/2012 05:30:44 |
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ONORE, ONORE E ANCORA ONORE!
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L'Argentina espropria la Repsol Madrid minaccia ritorsioni
Il presidente Kirchner nazionalizza i giacimenti del gruppo petrolifero spagnolo. Funzionari del governo entrano nella sede della società e cacciano i dirigenti iberici
LA FILIALE argentina della compagnia petrolifera spagnola Repsol è stata nazionalizzata ieri con un decreto d'esproprio firmato e annunciato in televisione a reti unificate dalla "presidenta" Cristina Kirchner. Poco dopo funzionari del governo argentino, guidati dal ministro per la pianificazione Julio de Vido, sono entrati nei locali della società petrolifera, l'YPF-Repsol, hanno preso possesso della sede ed espulso tutti i dirigenti spagnoli presenti. Il colpaccio - la succursale argentina rappresenta con una produzione di 472mila barili al giorno un terzo del fatturato di Repsol - era nell'aria da settimane ma la notizia è arrivata in Spagna nel momento meno opportuno per le difficoltà a contenere la speculazione sul debito. Ieri lo "spread", che volava oltre i 460 punti, ha segnato il risultato peggiore dall'insediamento del nuovo governo di centrodestra alla fine dell'anno scorso. Mentre la Borsa di Madrid era l'unica in Europa a registrare un segno negativo.
Nel discorso in tv la Kirchner ha difeso il decreto di esproprio (lo Stato controllerà il 51 per cento della compagnia mentre il restante 49 percento verrà diviso tra i governatori delle regioni argentine che possiedono greggio) affermando che "il petrolio è un interesse pubblico strategico e prioritario" e non può stare in mani straniere. E aggiungendo che Repsol non ha rispettato gli accordi investendo poco o niente nello sfruttamento dei giacimenti argentini. Parlando alla nazione Cristina è riuscita anche a scherzare allundendo alle polemiche sul safari in Botswana di re Juan Carlos di Spagna. "Nazionalizzo YPF-Repsol perché le loro colpe sono lunghe come la proboscide di un elefante", ha detto. A Madrid il governo del premier Rajoy si è riunito d'urgenza per studiare "misure adeguate" ad un atto che è stato definito "ostile". E oggi, quando arriverà in Messico per prendere parte al Foro economico mondiale sull'America Latina, il premier spagnolo dovrebbe annunciare le rappresaglie di Madrid all'esproprio.
Repsol comprò la società YPF argentina, privatizzata dal governo Menem nel 1993, con un investimento pari a 13 miliardi di euro fra il 1998 e il 1999. Il paradosso vuole che allora il marito di Cristina (l'ex presidente Nestor Kirchner, morto d'infarto nel 2010) appoggiò la privatizzazione e vendette a Repsol, per 600 milioni di dollari, il 5 per cento delle azioni della compagnia statale YPF che appartenevano alla provincia di Santa Cruz dove a quel tempo governava. Repsol è una compagnia spagnola completamente privata, il suo principale azionista è la Caixa (la Cassa di Risparmio di Barcellona) che ne possiede il 12 per cento, ma il colpo è molto forte anche per il governo Rajoy che fino alla fine ha sperato che la Kirchner non arrivasse a tanto.
Nel retroscena che ha portato la "presidenta" ad una mossa così spregiudicata ci sono numerose ragioni sia politiche che economiche. Intanto c'è il peso sempre maggiore che ha assunto nel governo il gruppo di giovani peronisti ("La Campora") guidato da Maximo Kirchner, il figlio primogenito di Cristina. Nazionalisti, populisti e autarchici si ispirano alla sinistra peronista anticapitalista degli anni Settanta. C'è il fabbisogno di energia per sostenere la crescita, e quest'anno l'Argentina ha dovuto importare petrolio e gas per 10 miliardi di dollari (da qui l'accusa a Repsol di aver investito poco per migliorare lo sfruttamento dei giacimenti). E c'è, sullo sfondo, un piccolo tesoro come la scoperta di nuovi giacimenti per 22 miliardi di barili (una dimensione che potrebbe rendere il paese autosufficiente dal punto di vista energetico per molto tempo) in un'area chiamata Vaca Muerta, nella provincia di Mendoza, vicino alle Ande, che il governo Kirchner vuole controllare direttamente.
Cristina Kirchner sosteneva ieri giustificando davanti al Paese la sua decisione che l'Argentina era ormai l'unico paese latinoamericano produttore di gas e petrolio che non gestiva attraverso compagnie statali e pubbliche (come in Brasile o in Venezuela) le sue fonti di energia. Ma l'espropriazione della compagnia YPF-Repsol, fatta per decreto e senza un contesto e una sicurezza giuridica per chi ha investito denaro, è - scrive El Pais - "una fuga in avanti che mette l'Argentina al margine della comunità economica internazionale".
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29/03/2012 17:10:21 |
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er ora ho capito
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delirio non difenderti da solo firmandoti embè o embe. vergognate.
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162037
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29/03/2012 16:42:12 |
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er "ora ho capito"
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onore a chi ha sgamato ma ancora nun s'è presentato. disonore ha chi ha cojonato se nun ha solo scherzato.
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