Anno di fondazione dell'ASR
59889
BOC User
11/12/2006 10:06:29
onore
La difficile storia di Malgioglio, il portiere emarginato per l'impegno
sociale e dimenticato nella malattia
Astutillo e il calcio senza memoria
Malcom Pagani

La difficile storia di Malgioglio, il portiere emarginato per l'impegno
sociale e dimenticato nella malattia
Astutillo e il calcio senza memoria
Giocava in serie A e guidava un centro gratuito per la cura dei bambini
distrofici. Vinse lo scudetto con l'Inter del Trap e sputò sulla maglia
della Lazio perché i tifosi gli gridavano «torna dai tuoi mostri». A 48
anni, un male l'ha costretto a chiudere nel silenzio lo «scopo bellissimo»
della sua esistenza
Malcom Pagani
Sui tetti la luna si specchiava nella neve. Astutillo Malgioglio aveva
diciott'anni. Uscì di casa, impermeabile alla folla per conoscere un luogo
misterioso. Era la vigilia di natale 1977. «Nacque tutto casualmente, un
ragazzo mi propose di passare una festa diversa: 'vieni a trascorrere un'ora
con queste persone, ne hanno bisogno'». Si fidò e venne illuminato. «Visitai
con mia moglie un centro per ragazzi disabili. Rimanemmo molto colpiti».
L'impatto con la sofferenza cambiò per sempre la vita di Malgioglio. «Sentii
una spinta interiore, dovevamo fare qualcosa. Io e Raffaella iniziammo a far
lavorare il cervello e ideammo Era 77». Un centro gratuito per le speranze
di ragazzi con gravi problemi motori. «Spesso mi chiedevano se la mia scelta
avesse avuto a che fare con la nascita di una figlia disabile. Niente di
tutto questo. Sono nato in una famiglia che mi ha insegnato a voler bene e
ad essere solidale». Malgioglio faceva il portiere. Da giovane arrivò anche
in nazionale. «Mi è sempre piaciuto fare sport, col Bologna debuttai presto
in A. Mi fece esordire Cervellati, poi mi trasferii a Brescia. Ero soltanto
un ragazzo. Mi sposai prestissimo ed ebbi una figlia, quasi senza
riflettere. Eravamo un po' allo sbaraglio, non avevo ancora il mio primo
contratto e i soldi erano pochissimi». Arrivarono. Insieme al successo. «Fui
per tre anni il miglior portiere della serie B, ero considerato molto
forte». Astutillo in Lombardia si stabilì per cinque anni. «Avevo un
presidente di nome Saleri. Un signore, un uomo buono. Fino a quando comandò
lui, riuscii a conciliare la mia attività extracalcistica con l'impegno
agonistico, poi la società entrò nella baraonda più assoluta, la gente che
venne dopo seppe soltanto crearmi problemi e io me ne andai. Come atleta ho
sempre dato tantissimo, senza mai saltare una seduta per occuparmi dei
bambini distrofici. Staccata la spina e svanite le tensioni, spendevo il mio
tempo per soccorrere gli altri. Qualcuno irrideva quest'atteggiamento, i più
se ne fregavano». Barriere, incomprensioni, una costante della sua parabola.
«Il mio impegno indignava tutti quelli che pensavano che un giocatore
dovesse solo correre. Il fatto che prestassi anche soltanto poche ore ad un
mondo che avrebbe avuto invece bisogno di una presenza costante, irritava».
Stasera si gioca il derby di Roma, a Malgioglio non importa quasi niente. Ha
giocato con Roma e Lazio. Esperienze che preferisce dimenticare. «La Roma mi
acquistò dalla Pistoiese, arrivai nell'anno successivo allo scudetto».
Nessun Bosman a vista. «Noi giocatori non contavamo niente, c'era il
vincolo. La Pistoiese mi cedette e prese i soldi ma la scelta non mi rese
felice: ero in un momento chiave della mia avventura e fare panchina a
Tancredi, mi tarpò le ali. La Roma non aveva bisogno di un portiere titolare
ma di un secondo che facesse la coppa Italia. Per farmi accettare la
destinazione, mi dissero che avrei trovato spazio. Bugie». La squadra di
Spalletti non gli sembra quella bella favola che in molti si affannano a
descrivere. «Il fatto che la Roma lasci andar via Tommasi, significa non
sapersi mettere la mano sulla coscienza. Il calcio avrebbe enorme bisogno di
sentimenti come i suoi, eppure se li lascia sfuggire. E' inutile che poi
dichiarino che le porte sono sempre aperte. Se sono così aperte, perché le
hanno chiuse? A Tommasi avverrà esattamente quello che è accaduto a me. Non
lo chiamerà più nessuno. La realtà è che il calcio è questo, se poi vogliamo
raccontarci menzogne o verità consolatorie, possiamo dire che è un'altra
cosa. Io non ci riesco, mi hanno abituato a non essere ipocrita».
Di quell'ambiente sono rimasti a Malgioglio pochissimi amici. «Klinsmann lo
sento tale, anche se mi capita di parlarci pochissimo, lui vive in America
ma ai tempi dell'Inter si presentava in palestra due volte alla settimana.
Conosceva tutti i ragazzi, andava a pranzo con i loro genitori, partecipava
per quanto gli era possibile». Un caso unico. «Ho raccolto soprattutto
indifferenza ma sapevo di essere un isolato». Le intercettazioni estive non
lo hanno stupito. «Il pallone dovrebbe dimostrare di poter cambiare ma
semplicemente si rifiuta di farlo. Non è cambiato nulla, ci sarà sempre
qualcuno che muove i fili al di sopra di tutto. Non ho mai sentito paventare
il nome di un giocatore universalmente stimato per la sua moralità, per il
ruolo di capo dell'ufficio inchieste. Sarebbe una bestemmia. Quando hanno
proclamato Albertini vice commissario della Figc, pareva avessero messo
un'atomica in Federazione. L'hanno prima osteggiato e poi mandato via,
preferiscono avere le solite persone. C'è un aggregazione di interessi che
danno continuità al ciclo precedente. Quelli che si danno da fare per mutare
direzione sono tacciati di sovversione».
Alla Lazio, Malgioglio arrivò nel 1985. Dopo due anni alle dipendenze di
Eriksonn, incontrò Simoni. «Ma di lui preferisco non parlare, perché potrei
dirne solo male. Dalla Laurentina, rifugio degli anni romanisti, ero andato
ad abitare nei pressi dello stadio. Nei fatti non potevo uscire di casa». I
tifosi lo odiarono subito. Senza una ragione. Vennero a sapere della sua
passione per i meno fortunati e si accanirono, brutali. Lo accusavano di
scarso impegno. Cori ostili, fischi, insulti, volgarità spaventose. «A
ripensare a quello che mi accadde alla Lazio, c'è da essere mortificati per
il genere umano. Non riuscii mai a giocare tranquillo e la militanza
romanista non c'entrava niente. Mi chiamavano «mongoloide», mi bersagliavano
con oggetti durante le gare e gli allenamenti. Io giocavo in quei contesti e
mi vergognavo per loro e per un pianeta in cui arbitri, compagni o avversari
non si sentissero mai in dovere di interrompere quella violenza, prendendo
posizione. Gridando: se non la smettete, non corriamo più. Di dire basta, si
incaricò Astutillo. Quel giorno, le lacrime si fermarono sui baffi.
«Giocavamo con il Vicenza, stavamo perdendo in casa». Il capro espiatorio
indossava il numero uno. «Si scatenarono, era la regola». Esagerarono. «D'un
tratto mi girai istintivamente e vidi quella scritta in mezzo alla curva».
«Torna dai tuoi mostri», alcuni metri di striscione. Nero su bianco.
Malgioglio si tolse la maglia. Sponsorizzava lavatrici. Frullò il presente
in un gesto, la accartocciò, ci sputo sopra e la rilanciò ai suoi nemici. Fu
l'apocalisse. «Lo feci con la consapevolezza di dire basta col calcio.
Quella gente sui gradoni che non si rendeva conto di cosa davvero fosse
importante nella vita, tutto sommato era relativa. Io volevo mettere uno
stop, non ne potevo più». Le reazioni ufficiali furono in linea col pensiero
della curva. «La società propose la radiazione, fu come essere aggredito
un'altra volta. Mi accusavano con frasi vuote e senza senso: avevo insultato
la bandiera, sostenevano. Per difendermi si mossero soltanto Mura, che
ringrazio ancora adesso, Paolo Ziliani e Renzo Grandi, il mio preparatore
all'epoca del Bologna. Scrisse un pezzo per L'Unità. Nessun altro mosse un
dito, io pensai di ritirarmi e lo feci». Una telefonata lo recuperò alla
causa. «Mi chiamò Trapattoni, credetti fosse uno scherzo. 'Uno come te, non
è giusto che abbandoni', mi disse. Firmai in bianco. Giovanni era sensibile
ai miei interessi, nello spogliatoio mi prendeva ad esempio». Nella lontana
stagione dei record interisti, Malgioglio entrò in campo quattro volte e
vinse lo scudetto. Il destino lo mise ancora di fronte alla Lazio il 4 marzo
1990. Il presidente Pellegrini gli suggerì un gesto di riconciliazione. Un
mazzo di fiori da offrire alla curva. Fu una pessima idea. «Io ero
contrario: 'presidente non serve a niente, so perfettamente come sono fatte
quelle persone'». Aveva ragione, non erano cambiate. «Passai bruttissimi
momenti. Alla mia famiglia dedicarono canzoncine irriferibili, poi iniziò il
tiro a segno. Radioline, pile, bottiglie, transistor e io in piedi, senza
mai cadere. Conclusi la partita ferito, col sangue che mi colava dalla
testa. Nessuno venne a chiedermi scusa o a sussurrarmi grazie per la mia
correttezza».
Malgioglio si tolse dalla scene, davvero, nel '93. Oggi sta male e ha dovuto
chiudere la sua associazione. «Era tutto gratuito e i soldi per
un'impostazione del genere, l'unica possibile, non c'erano più. Ho regalato
tutti i macchinari. Per un po' ho aiutato i pazienti a domicilio, poi la mia
salute è peggiorata sempre di più. Peccato, è stato il bellissimo scopo di
tutta la mia esistenza. Quello a cui col fisico non posso arrivare, cerco di
farlo ancora con la mente. E' ciò che mi fa andare avanti». Il doping non
c'entra col suo male, sul tema però il dottor Malgioglio, laureato in
medicina, ha un orizzonte chiaro. «Il doping è sempre esistito. Mi ricordo
fin troppo bene la serietà dei controlli: un bicchierino per fare la pipì e
poco più. Raccontare altro, vuol dire non aver capito nulla. Ho sempre
studiato e recentemente ho seguito il caso della Fiorentina '73-'74. E' una
storia che potrebbe riguardare tante squadre: i farmaci che usavano a
Firenze erano utilizzati quasi da tutti». Malgioglio è in pace con la sua
coscienza, crede in Dio. Gli basta. «Non si può sperare di arrivare al
momento finale ed essere assolti, se non si è fatto niente per gli altri».
Astutillo Malgioglio, 49 anni a Maggio.
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10/12/2006 02:19:41
onore ar tank
rispetto per nessuno
59849
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09/12/2006 15:05:53
ONORE AD ALBERTO D'AGUANNO
59825
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08/12/2006 11:17:26
ANCORA ONORE
59824
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08/12/2006 11:08:10
ONORE AI VHS DEL TEMPO CHE FU
59818
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08/12/2006 09:51:03
onore
59812
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07/12/2006 20:54:00
(ONORE AL)
59725
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06/12/2006 12:54:18
ONORE A FRANCESCA BONFANTI
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05/12/2006 16:42:59
ONORE A JACK BLACK!
59617
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04/12/2006 12:11:56
ONORE AD UN GRANDE ULTRAS!
59477
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29/11/2006 23:32:05
onore
59403
BOC User
27/11/2006 13:20:07
ONORE A TE CAPITANO!!!
59382
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27/11/2006 09:33:51
ONORE
59347
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25/11/2006 15:11:15
ONORE ONORE ONORE
59318
BOC User
24/11/2006 08:49:22
onore
USA: SPINELLI COL FIGLIO PER FAR FARE COMPITI, IN PRIGIONE

NEW YORK - Una donna della Pennsylvania che ha ammesso di aver fumato spinelli col figlio tredicenne per premiarlo quando aveva fatto i compiti e' stata condannata a tre mesi di prigione e a nove mesi di successivi arresti domiciliari. Amanda Lynn Livelsberger, 30 anni, dovra' poi restare per un
anno in liberta' vigilata. La donna si era dichiarata colpevole del reato di corruzione di minore. Aveva ammesso di aver fumato marijuana con il figlio
da quando lui aveva undici anni.
59088
BOC User
19/11/2006 17:37:07
ONORE
59073
BOC User
18/11/2006 08:42:03
ONORE
59033
BOC User
17/11/2006 09:44:33
onore
(AGM-DS) - Ferenc Puskas, leggenda del calcio ungherese e mondiale, e` morto a 79 anni in seguito ad una lunga malattia a Budapest. La notizia, proveniente dalla capitale ungherese, e` stata diffusa dall`agenzia di stampa magiara MTI, che cita il portavoce della famiglia Gyorgy Szollosi.
Nella sua carriera, oltre ad aver realizzato 1156 gol - di cui quattro nella finale di Coppa Campioni 1959/60 contro l`Eintracht Francoforte, battuto 7-3, - ha vinto anche la medaglia d`oro olimpica con la nazionale ungherese nel 1952, e ha condotto la squadra alla finale mondiale nel 1954, persa poi contro la Germania Ovest (3-2). Puskas e` stato ovviamente il miglior marcatore con la maglia della sua Nazionale, avendo realizzato 84 gol in 85 gare ufficiali; cifra rimasta un record internazionale fino al 28 novembre 2003, quando fu superata dall`iraniano Ali Daei.
Il 16 novembre, dalle pagine del quotidiano sportivo `Nemzeti`, si apprendeva che le sue condizioni di salute erano notevolmente peggiorate, tanto da doverlo trasportare in cura intensiva a causa di una polmonite e della febbre alta. Ferenc Puskas era chiamato affettuosamente in Ungheria `Ocsi bacsi`.
Ferenc Puskas era nato a Budapest il 2 aprile 1927; dotato di un sinistro micidiale, esordi` a livello di club a soli 16 anni, nella Honved di Budapest (la squadra dell`esercito ungherese), per poi passare al Real Madrid con il quale vinse cinque campionati spagnoli e quattro Coppe dei Campioni. Fece anche quattro apparizioni nella nazionale spagnola, tra il 1961 e il 1962, ma senza segnare. Viveva a Budapest, in una speciale casa di cura, grazie a un vitalizio del governo ungherese. Lo stadio nazionale ungherese e` stato rinominato in suo onore nel 2001.
58964
BOC User
15/11/2006 20:48:44
ONORE
58902
BOC User
14/11/2006 22:17:00
ONORE