Il Legia Varsavia nel mirino, il derby con la Roma all’orizzonte. La settimana biancoceleste si fa intensa e ricca di appuntamenti, anche se a Formello la pratica più in voga è bandire l’argomento stracittadina dai discorsi, almeno fino a venerdì. L’impegno europeo da onorare, con l’incognita polacchi da bypassare. Tutto sulla gara infrasettimanale insomma, prima di resettare ogni cosa e pensare alla nuova Roma di Garcia. Petkovic è stato chiaro nelle segrete stanze di Formello. “Voglio concentrazione massima per la sfida al Legia, poi penseremo a domenica…”. Nel cuore a tinte laziali, la sfida che viaggia sul filo della rivalità cittadina resta ben radicata, anche se i fari puntati rimangono indirizzati altrove. Giusta l’attenzione che lo staff tecnico sta indirizzando agli impegni della settimana, ma altrettanto corretta dovrebbe essere l’applicazione verso “le subdole e devastanti distrazioni”. Professionalità e applicazione sgombrano il campo da eccessi mondani e vita extra calcio. La Lazio, questa Lazio, è fatta di uomini veri e l’amore per il loro mestiere non è certo messo in discussione. Qualcosa però in questa compagine ancora non convince. L’ingranaggio vincente che trascinò Petko ei suoi al successo, nella sfida più importante della città, da l’idea di non girare per il verso giusto. La dose di ossigeno fornita dalla schiacciante vittoria casalinga sul Chievo Verona, rischia di diventare un depistante palliativo, se non seguita dalla ripresa di una marcia costante. “Mentalità operaia e lotta quotidiana”, per scalare centimetro dopo centimetro la vetta dei successi, per ambire al massimo. I risultati importanti passano dall’umiltà e dallo spirito di corpo. I Tre moschettieri incrociavano le spade al motto di “uno per tutti e tutti per uno”, la Lazio di Petkovic non meno di qualche mese fa riuscì ad emularli sul campo, sostituendo la logica dei singoli con quella del gruppo. Si vince vogando insieme per superare le onde di un mare in tempesta. L’aiuto apparentemente più marginale nel contesto di una difficoltà, rischia di trasformarsi in fondamentale. Ecco perché alle 19.27 di quella storica finale Lulic riuscì a far gol, concretizzando e materializzando, gli sforzi di un intero gruppo nella vittoria finale. Lui, Senand, l’eroe biancoceleste, il divo di maggio, non è un è dunque il Dio sceso in terra, ma il naturale sunto di una missione globale. Quel 26 di maggio ha incoronato la Lazio regina di Roma, e l’ha fatta salire nell’Olimpo biancoceleste della capitale. Dalle vittorie nasce la consapevolezza. Dai successi l’autostima, ma a volte rischia di trasformarsi anche in un pericolosissimo boomerang. La coda di festeggiamenti post-26 maggio infatti, hanno rischiato di trasformare un successo storico, in una meta per cui compiacersi. Specchiarsi, invece di ripartire. Esaltarsi anziché lottare. I presupposti che hanno mosso Klose e compagni in queste ore ricordano più i sintomi di un appagamento, che non la verve di chi vuol scalare posizioni. Mens sana in corpore sano, recitava la satira di Giovenale, e da questa massima dovrebbe ripartire la Lazio di Petkovic. Battere il Chievo per dimenticare il doppio passo falso con la Juventus è stato senza dubbio un buon punto di inizio, ma non basta. La Lazio deve evitare l’eccesso di ottimismo. Perché la Roma non è il Chievo e il derby è una partita complicata. A Trigoria intanto la squadra giallorossa cova rabbia. Il calcio è sport, è gara, è sfida, ma anche rivalsa. L’occasione ripassa per tutti e nella logica della sfera a scacchi seppur con “importanza differente” e in momenti emotivamente diversi, la rivincita ripassa sempre. Questa per la Roma è l’occasione per pareggiare i conti o almeno per provarci. È indubbio che la finale di coppa vinta dalla Lazio per peso nella storia della stracittadina attualmente non ha eguali, ma i giallorossi (secondo indiscrezioni raccolte dalla nostra redazione) hanno in serbo una sorpresa per soverchiare il recente passato. Riscrivere la storia degli ultimi derby. Oscurare una Coppa Italia persa davanti alla Lazio, sfoggiando l’asso nella manica di una roboante vittoria. Umiliare Klose e compagni è l’imperativo, per riabilitarsi agli occhi dei propri tifosi. Stracciare la sconfitta di maggio con una vittoria che deve avere un sapore speciale. A Trigoria il patto è pronto da settimane e a siglarlo e marchiarlo a fuoco ci ha pensato lo stratega Garcia. La Roma ci crede, la Roma è disperatamente arrabbiata. La Roma è pronta a lanciare il guanto di sfida, anzi l’ha già lanciato. Il derby c’è ed esiste ancora. Sta alla Lazio, alla nostra Lazio raccogliere il guanto e vincere di nuovo. Batterli per eliminarli dalla contesa calcistica cittadina. Vincere per mandarli al KO ancora!!
Il Legia Varsavia nel mirino, il derby con la Roma all’orizzonte. La settimana biancoceleste si fa intensa e ricca di appuntamenti, anche se a Formello la pratica più in voga è bandire l’argomento stracittadina dai discorsi, almeno fino a venerdì. L’impegno europeo da onorare, con l’incognita polacchi da bypassare. Tutto sulla gara infrasettimanale insomma, prima di resettare ogni cosa e pensare alla nuova Roma di Garcia. Petkovic è stato chiaro nelle segrete stanze di Formello. “Voglio concentrazione massima per la sfida al Legia, poi penseremo a domenica…”. Nel cuore a tinte laziali, la sfida che viaggia sul filo della rivalità cittadina resta ben radicata, anche se i fari puntati rimangono indirizzati altrove. Giusta l’attenzione che lo staff tecnico sta indirizzando agli impegni della settimana, ma altrettanto corretta dovrebbe essere l’applicazione verso “le subdole e devastanti distrazioni”. Professionalità e applicazione sgombrano il campo da eccessi mondani e vita extra calcio. La Lazio, questa Lazio, è fatta di uomini veri e l’amore per il loro mestiere non è certo messo in discussione. Qualcosa però in questa compagine ancora non convince. L’ingranaggio vincente che trascinò Petko ei suoi al successo, nella sfida più importante della città, da l’idea di non girare per il verso giusto. La dose di ossigeno fornita dalla schiacciante vittoria casalinga sul Chievo Verona, rischia di diventare un depistante palliativo, se non seguita dalla ripresa di una marcia costante. “Mentalità operaia e lotta quotidiana”, per scalare centimetro dopo centimetro la vetta dei successi, per ambire al massimo. I risultati importanti passano dall’umiltà e dallo spirito di corpo. I Tre moschettieri incrociavano le spade al motto di “uno per tutti e tutti per uno”, la Lazio di Petkovic non meno di qualche mese fa riuscì ad emularli sul campo, sostituendo la logica dei singoli con quella del gruppo. Si vince vogando insieme per superare le onde di un mare in tempesta. L’aiuto apparentemente più marginale nel contesto di una difficoltà, rischia di trasformarsi in fondamentale. Ecco perché alle 19.27 di quella storica finale Lulic riuscì a far gol, concretizzando e materializzando, gli sforzi di un intero gruppo nella vittoria finale. Lui, Senand, l’eroe biancoceleste, il divo di maggio, non è un è dunque il Dio sceso in terra, ma il naturale sunto di una missione globale. Quel 26 di maggio ha incoronato la Lazio regina di Roma, e l’ha fatta salire nell’Olimpo biancoceleste della capitale. Dalle vittorie nasce la consapevolezza. Dai successi l’autostima, ma a volte rischia di trasformarsi anche in un pericolosissimo boomerang. La coda di festeggiamenti post-26 maggio infatti, hanno rischiato di trasformare un successo storico, in una meta per cui compiacersi. Specchiarsi, invece di ripartire. Esaltarsi anziché lottare. I presupposti che hanno mosso Klose e compagni in queste ore ricordano più i sintomi di un appagamento, che non la verve di chi vuol scalare posizioni. Mens sana in corpore sano, recitava la satira di Giovenale, e da questa massima dovrebbe ripartire la Lazio di Petkovic. Battere il Chievo per dimenticare il doppio passo falso con la Juventus è stato senza dubbio un buon punto di inizio, ma non basta. La Lazio deve evitare l’eccesso di ottimismo. Perché la Roma non è il Chievo e il derby è una partita complicata. A Trigoria intanto la squadra giallorossa cova rabbia. Il calcio è sport, è gara, è sfida, ma anche rivalsa. L’occasione ripassa per tutti e nella logica della sfera a scacchi seppur con “importanza differente” e in momenti emotivamente diversi, la rivincita ripassa sempre. Questa per la Roma è l’occasione per pareggiare i conti o almeno per provarci. È indubbio che la finale di coppa vinta dalla Lazio per peso nella storia della stracittadina attualmente non ha eguali, ma i giallorossi (secondo indiscrezioni raccolte dalla nostra redazione) hanno in serbo una sorpresa per soverchiare il recente passato. Riscrivere la storia degli ultimi derby. Oscurare una Coppa Italia persa davanti alla Lazio, sfoggiando l’asso nella manica di una roboante vittoria. Umiliare Klose e compagni è l’imperativo, per riabilitarsi agli occhi dei propri tifosi. Stracciare la sconfitta di maggio con una vittoria che deve avere un sapore speciale. A Trigoria il patto è pronto da settimane e a siglarlo e marchiarlo a fuoco ci ha pensato lo stratega Garcia. La Roma ci crede, la Roma è disperatamente arrabbiata. La Roma è pronta a lanciare il guanto di sfida, anzi l’ha già lanciato. Il derby c’è ed esiste ancora. Sta alla Lazio, alla nostra Lazio raccogliere il guanto e vincere di nuovo. Batterli per eliminarli dalla contesa calcistica cittadina. Vincere per mandarli al KO ancora!!
L'ispettore Derrick e il segreto inconfessabile. "Da ragazzo era stato un soldato delle SS" La scoperta su uno dei personaggi più popolari della tv per oltre vent'anni è stata fatta per caso da un ricercatore. Horst Tappert, allora ventenne, risulta negli elenchi dei granatieri della divisione corazzata "Testa di morto" che nel 1943 era impegnata sul fronte russo BERLINO - E' morto cinque anni fa portandosi nella tomba un segreto impossibile da confessare, ma oggi sono i documenti a fare luce su quel buco oscuro del suo passato. Horst Tappert, il celebre ispettore Derrick, durante la Seconda guerra mondiale aveva fatto parte delle Waffen Ss. Lo rivela il Frankfurter Allgemeine Zeitung secondo cui, almeno a partire dal 1943, quando aveva vent'anni, Horst Tappert è stato un membro delle Schutz Staffeln, la selezionatissima unità d'elìte dell'esercito tedesco che divenne uno dei simboli del Male durante il nazismo.
L'attore tedesco, uno dei più conosciuti al mondo, nelle sue memorie non ha mai fatto cenno a quella macchia oscura nel suo passato. In alcune interviste aveva detto di essere stato impiegato come sanitario e di essere stato imprigionato alla fine della guerra. E' stato un sociologo tedesco Joerg Becker a scoprire per caso, durante le ricerche per un libro, che Tappert da giovane aveva gravitato in una compagnia teatrale di cui avevano fatto parte diversi attori in passato vicini al regime nazista.
Becker ha dunque fatto richiesta all'Associazione tedesca che dal 1939 informa i parenti dei caduti della Wehrmacht, l'esercito nazista, dove si trovano documenti sull'appartenenza alle diverse truppe. Secondo quanto rinvenuto negli archivi di tale associazione (Wast), Tappert era entrato a far parte di una divisione di riserva della contraerea ad Arolsen. La prima data certa, poi, risale per l'appunto al 22 marzo del 1943, quando il primo reggimento della divisione di fanteria corazzata "Testa di morto", allora impegnato in Russia, ha segnalato la sua appartenenza come semplice 'granatiere'.
Nel ruolo dell'ispettore Stephan Derrick l'attore Horst Tappert è diventato famoso in tutto il mondo. In Germania il telefilm omonimo è stato trasmesso dalla Zdf dal 1974 al 1998. In tutto 281 puntate, che negli anni sono state acquistate ben 102 Paesi in tutto il mondo. Tappert è morto nel dicembre del 2008 a 85 anni in una clinica di Monaco dove era ricoverato. La moglie Ursula raccontò che i medici, rispettando le volontà espresse nel suo testamento biologico, gli avevano evitato l'accanimento terapeutico.
John McAfee John McAfee, il fondatore della celebre azienda produttrice di software antivirus che porta il suo nome, azienda ora di proprietà della Intel, è ricercato per omicidio dalla polizia del Belize, Paese dove il geniale programmatore vive e dove lavora alla guida della QuorumEx, azienda produttrice di antibiotici naturali. LA VICENDA - McAfee, secondo quanto rivela il sito di tecnologia Gizmodo, sarebbe sospettato dalla polizia per l'omicidio, avvenuto sabato, di Gregory Faull, un cittadino di origine statunitense. L'omicidio è avvenuto nella casa di Faull nel paese di San Pedro ad Ambergris Caye, un isola-paradiso tropicale al largo della costa del Belize. Faull è stato trovato dalla domestica in un lago di sangue dopo essere stato raggiunto da un proiettile alla testa. Tra Faull e McAfee, ci sarebbero stati numerosi dissapori negli ultimi mesi. Una lite a causa di uno scontro tra i cani dei due sarebbe stata, secondo gli investigatori, la classica goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
DISCESA AGLI INFERI - Per comprendere però come McAfee, 67 anni, geniale programmatore che da giovane aveva lavorato anche alla Nasa e che è stato uno dei primi a creare un software antivirus, possa essere arrivato ad essere sospettato di omicidio, bisogna fare riferimento al profondo cambiamento nel comportamento di McAfee, avvenuto dopo l'addio alla società da lui fondata. Da un lato il fatto che il suo patrimonio si fosse sensibilmente ridotto e che non avesse tratto benefici della vendita miliardaria della sua società. Dall'altro che si fosse successivamente fissato sullo sviluppo dei principi psicoattivi delle droghe, di cui avrebbe fatto ampio uso e che lo avrebbero visto, secondo le accuse, collaborare anche con bande di narcos locali e subire un arresto per fabbricazione abusiva di farmaci, accusa da lui sempre negata. In particolare McAfee sarebbe stato, alla ricerca della creazione di un tipo di droga che stimolasse l'interesse sessuale delle donne verso gli uomini, cosa che lo avrebbe portato negli ultimi tempi a numerosi episodi di avances spinte nei confronti del gentil sesso. Da qui ad uccidere per futili motivi ovviamente, ce ne passa, quel che è certo è che il John McAfee di oggi non era più quello che negli anni 80 mise a punto uno dei primi antivirus in commercio.
ROMA - Due tifosi giallorossi sono stati aggrediti, uno dei quali accoltellato, nei pressi dello stadio Olimpico. Uno è stato colpito da un pugno, mentre l'altro è stato ferito con un coltello ad un gluteo. Entrambi sono stati soccorsi e non sono in gravi condizioni. Poco prima un gruppo di laziali aveva lanciato una molotov contro le forze dell'ordine.
Per lavoro sono stato alla sede dell'alitalia società in liquidazione in un ufficio ai parioli in dismissione, gli amministratori si erano venduti in nero pure il patrimonio artistico, e come liquidatore ci stava uno di quei "Professori" universitari, persona boriosa col suo codazzo di giovani avvocati leccaculo, non si è nemmeno degnato di rispondere al mio saluto da persona educata che avrebbe preferito sputargli in un occhio.
«Andavo in discoteca, bevevo da solo o con falsi amici e non riuscivo a fermarmi» Cicinho confessa: «Se non ci fosse stato l'antidoping avrei preso anche la droga. Ero a pezzi, volevo lasciare il calcio»