L'Argentina espropria la Repsol Madrid minaccia ritorsioni
Il presidente Kirchner nazionalizza i giacimenti del gruppo petrolifero spagnolo. Funzionari del governo entrano nella sede della società e cacciano i dirigenti iberici
LA FILIALE argentina della compagnia petrolifera spagnola Repsol è stata nazionalizzata ieri con un decreto d'esproprio firmato e annunciato in televisione a reti unificate dalla "presidenta" Cristina Kirchner. Poco dopo funzionari del governo argentino, guidati dal ministro per la pianificazione Julio de Vido, sono entrati nei locali della società petrolifera, l'YPF-Repsol, hanno preso possesso della sede ed espulso tutti i dirigenti spagnoli presenti. Il colpaccio - la succursale argentina rappresenta con una produzione di 472mila barili al giorno un terzo del fatturato di Repsol - era nell'aria da settimane ma la notizia è arrivata in Spagna nel momento meno opportuno per le difficoltà a contenere la speculazione sul debito. Ieri lo "spread", che volava oltre i 460 punti, ha segnato il risultato peggiore dall'insediamento del nuovo governo di centrodestra alla fine dell'anno scorso. Mentre la Borsa di Madrid era l'unica in Europa a registrare un segno negativo.
Nel discorso in tv la Kirchner ha difeso il decreto di esproprio (lo Stato controllerà il 51 per cento della compagnia mentre il restante 49 percento verrà diviso tra i governatori delle regioni argentine che possiedono greggio) affermando che "il petrolio è un interesse pubblico strategico e prioritario" e non può stare in mani straniere. E aggiungendo che Repsol non ha rispettato gli accordi investendo poco o niente nello sfruttamento dei giacimenti argentini. Parlando alla nazione Cristina è riuscita anche a scherzare allundendo alle polemiche sul safari in Botswana di re Juan Carlos di Spagna. "Nazionalizzo YPF-Repsol perché le loro colpe sono lunghe come la proboscide di un elefante", ha detto. A Madrid il governo del premier Rajoy si è riunito d'urgenza per studiare "misure adeguate" ad un atto che è stato definito "ostile". E oggi, quando arriverà in Messico per prendere parte al Foro economico mondiale sull'America Latina, il premier spagnolo dovrebbe annunciare le rappresaglie di Madrid all'esproprio.
Repsol comprò la società YPF argentina, privatizzata dal governo Menem nel 1993, con un investimento pari a 13 miliardi di euro fra il 1998 e il 1999. Il paradosso vuole che allora il marito di Cristina (l'ex presidente Nestor Kirchner, morto d'infarto nel 2010) appoggiò la privatizzazione e vendette a Repsol, per 600 milioni di dollari, il 5 per cento delle azioni della compagnia statale YPF che appartenevano alla provincia di Santa Cruz dove a quel tempo governava. Repsol è una compagnia spagnola completamente privata, il suo principale azionista è la Caixa (la Cassa di Risparmio di Barcellona) che ne possiede il 12 per cento, ma il colpo è molto forte anche per il governo Rajoy che fino alla fine ha sperato che la Kirchner non arrivasse a tanto.
Nel retroscena che ha portato la "presidenta" ad una mossa così spregiudicata ci sono numerose ragioni sia politiche che economiche. Intanto c'è il peso sempre maggiore che ha assunto nel governo il gruppo di giovani peronisti ("La Campora") guidato da Maximo Kirchner, il figlio primogenito di Cristina. Nazionalisti, populisti e autarchici si ispirano alla sinistra peronista anticapitalista degli anni Settanta. C'è il fabbisogno di energia per sostenere la crescita, e quest'anno l'Argentina ha dovuto importare petrolio e gas per 10 miliardi di dollari (da qui l'accusa a Repsol di aver investito poco per migliorare lo sfruttamento dei giacimenti). E c'è, sullo sfondo, un piccolo tesoro come la scoperta di nuovi giacimenti per 22 miliardi di barili (una dimensione che potrebbe rendere il paese autosufficiente dal punto di vista energetico per molto tempo) in un'area chiamata Vaca Muerta, nella provincia di Mendoza, vicino alle Ande, che il governo Kirchner vuole controllare direttamente.
Cristina Kirchner sosteneva ieri giustificando davanti al Paese la sua decisione che l'Argentina era ormai l'unico paese latinoamericano produttore di gas e petrolio che non gestiva attraverso compagnie statali e pubbliche (come in Brasile o in Venezuela) le sue fonti di energia. Ma l'espropriazione della compagnia YPF-Repsol, fatta per decreto e senza un contesto e una sicurezza giuridica per chi ha investito denaro, è - scrive El Pais - "una fuga in avanti che mette l'Argentina al margine della comunità economica internazionale".
Io dico solo una cosa: Stamattina sono passato sotto casa di Luciano Palle e ho beccato la nostra Lady BOC ktulu che con una bomboletta spray scriveva questa dedica su una saracinesca, lei appena mi ha visto ha cercato di coprirsi il volto ed è scappata in sella alla sua Renault 5 Rally targata NA ma io l'ho riconosciuta ugualmente.
Fermare il calcio per Morosini è una cosa giusta ma vorrei richiamare la sensibilità della BOC anche sulla situazione in cui verte oggi il povero Marco Stronzi. Vilipeso, cornificato e umiliato dalla regina della mossa partenopea.
Ludovic Giuly, ex giallorosso, ha così parlato alla trasmissione 'I signori del calcio' della sua esperienza nella capitale:
Spalletti
Spalletti mi chiamò dicendo che avrebbe voluto portarmi a Roma, io telefonai a Mexes e lui mi disse che sarebbe stato bellissimo e che mi avrebbe aiutato ad inserirmi. Ero felice di andare dove mi desideravano, trovai uno stile di allenamento completamente diverso rispetto alla Spagna, dove usavamo quasi solo il pallone. A Roma facevamo molta palestra, soffrivo la preparazione fisica e dopo ogni allenamento ero davvero stanco. Il mese di agosto fu molto complicato, non ero sicuro di adattarmi al meglio ma per fortuna Mexes mi è stato vicino. Spalletti è un allenatore con molto carattere, quando arrivai a Roma non ne sapevo molto di tattica, lui me l'ha fatta studiare a fondo per tre mesi. All'inizio rimasi scioccato perché tutti facevano la stessa cosa e io mi sentivo quasi incapace di giocare a calcio, mi sembrava di vivere in un videogioco che si ripeteva identico ogni mattina. Poi però durante le partite si notava che il lavoro fatto in settimana aveva un senso, tutti sapevano alla perfezione cosa fare. Spalletti è molto preparato tatticamente, così come Puel, un altro allenatore col quale ho lavorato che vive talmente intensamente il suo lavoro da essere quasi brusco quando si relaziona con un giocatore. Spalletti era troppo diretto, non ti metteva a tuo agio e non accettava che si mettessero in discussione le sue idee, per questo ho avuto qualche problema con lui. In ogni caso abbiamo avuto un buon rapporto, mi ha insegnato tanto e ha fatto grandi cose per la Roma così come sta lavorando molto bene adesso allo Zenit.
Totti e De Rossi
Vedendo De Rossi e Totti ho capito cosa significa essere una bandiera in Italia, dove spesso un giocatore diventa il simbolo di una squadra, come è successo anche a Maldini e Del Piero. E' stato interessante entrare nel loro mondo e spesso gli chiedevo perché non avessero mai accettato di lasciare la Roma. Sono troppo italiani, amano la loro città, la maglia, la squadra con la quale giocano da sempre e quindi non possono andarsene, per loro sarebbe drammatico. Io avrei voluto fare lo stesso al Monaco, ma De Rossi e Totti sono diversi, la Roma gli scorre nelle vene, iniziavano a parlare del derby quindici giorni prima dicendo che perdere sarebbe stata la fine del mondo. Questi valori oggi nel calcio sono molto rari, senza Totti e De Rossi la Roma non sarebbe la stessa cosa. Totti in fondo è ancora un ragazzino, l'ho frequentato anche fuori dal campo ed è un tipo divertentissimo. Con noi poteva essere se stesso e dimenticare la pressione che viveva ogni giorno, gli faceva bene passare il tempo insieme a noi perché non doveva fare attenzione a tutto quello che diceva o faceva. In uno spogliatoio può sentirsi libero. Come giocatore all'inizio mi sembrava buono ma non eccezionale, poi mi sono reso conto che difficilmente sbaglia una giocata, è sempre al posto giusto e ha una visione di gioco incredibile in rapporto a tutti i gol che ha segnato. Mi impressionava perché nelle partite importanti potevamo sempre contare su di lui, contro la Juve, il Milan era presente. Forse contro squadre più piccole si impegnava un po' meno, ma è un grande giocatore con qualità straordinarie e un bravissimo ragazzo.
I tifosi giallorossi
I tifosi a Roma sono diversi rispetto a quelli francesi o di Barcellona, quando le cose non vanno sono sempre pronti a farsi sentire. Totti e De Rossi, per esempio, sono prima di tutto due tifosi, uguali a quelli che vanno allo stadio. All'inizio questa situazione mi scioccava, al ristorante sconosciuti si sedevano al mio tavolo per parlare di calcio e io non capivo cosa volessero. Per loro però funziona così: se giochi nella loro squadra si sentono in diritto di venirti a salutare, disturbarti se sei con la tua famiglia o in riunione. Ho imparato ad apprezzare tutto questo, anche se quando i risultati non arrivavano la situazione diventava meno simpatica. Lo spettacolo allo stadio però era fantastico.
"Ce li mangeremo vivi. Venga questa crisi, bussi, le sarà aperto, non aspettiamo altro. Se necessario butteremo giù il portone. E' già successo nel '43 e succederà ancora e in meglio. Non abbiamo più nulla da perdere, ma ci siamo abituati. Noi. Loro con la puzza sotto il naso non sanno cos'è la vera crisi. Loro devono averne paura. Noi che non abbiamo studiato alla Bocconi, non siamo entrati nello studio di papà o di mammà, non abbiamo leccato il culo per fare carriera in un partito o in ufficio statale. Nessuno ci ha raccomandati e raccomandazioni non ne abbiamo mai volute. Siamo ancora qui e incazzati il giusto per farvi il culo. Altro che chiedervi la carità o discutere con quel rottame della Fornero dei diritti dei lavoratori. Noi ce li mangeremo vivi. Ci scaldavamo con le palle di carta bagnate, pressate e messe nella stufa. Mangiavamo croste di formaggio scaldate sul ferro. Non ne ho mai più mangiate di così buone. Il bagno lo facevamo nella tinozza con l'acqua che veniva scaldata sopra la cucina economica. Il cinema era sempre in terza visione e solo una volta al mese. I nostri padri facevano i turni in fabbrica, quando noi dormivamo, loro lavoravano. Una carezza e un "Fai il bravo con la mamma" era l'unico fugace contatto al mattino. La domenica andavamo fuori città in bicicletta con qualche panino, una gazzosa e una bottiglia di vino rosso. D'estate ci scappava anche un'anguria. Che cazzo ci possono fare questi fighetti vestiti Armani, questi corrotti dentro, questi deputatini, questi mafiosetti, marci, marci, buoni solo a parlare, a cianciare, che hanno rovinato il Paese e ora ridono di noi. Noi non abbiamo nulla da perdere perché siamo stati abituati a vivere con poco e anche con nulla. Voi perderete tutto tranne la dignità, quella non l'avete mai avuta. Leggevamo il giornale solo la domenica quando lo comprava nostro padre. Non poteva permetterselo gli altri giorni. Era il Corriere della Sera di Pasolini, Montanelli, Buzzati. Uno solo di loro vale più di tutti i giornalai di adesso. Ci siamo rotti i coglioni e saremo poco educati con chi ci prende per il culo. Ce li mangeremo vivi, ben venga la crisi per fare pulizia." Un ex operaio