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Mario Appignani, detto "Cavallo Pazzo", nella Curva Sud della Roma
Oggi vogliamo ricordare lui...CAVALLO PAZZO. Si chiamava Mario Appignani, ma al tempo degli indiani metropolitani diventò Cavallo Pazzo: e mai nome di battaglia si adattò meglio alla realtà. Il punto è che questa pregiudiziale pazzia si fece in lui arte, vita, rischio, dolore, spettacolo, condanna e tante altre cose difficili da esprimere, forse perché confusamente esprimono esse stesse il senso ultimo e nascosto di una trasformazione collettiva, l´ombra distorta di una società che andava imbizzarrendosi. Per cui, sì, Cavallo Pazzo, con tanto di linguaggio apache, segni di guerra sul volto e piccola tribù al seguito. Ma prima e dopo il Settantasette qualunque pazzia mise in atto Appignani per conquistare l´attenzione, irresistibile guastafeste, sabotatore di eventi, flagello di scorte e servizi d´ordine, a suo modo profeta e vittima di quella smania che ancora non si chiamava "visibilità". E quindi. Scrittore di successo a vent´anni, autore di "Un ragazzo all´inferno", con prefazione di Pannella, acerba autobiografia di trovatello cresciuto fra istituti, marchette, carceri minorili, adulti crudeli. Si intravede Appignani in mezzo alla folla nella celebre foto di Pasolini con Veltroni e Adornato adolescenti a una festa di giovani comunisti. Di lì a poco quel ragazzo si sarebbe esibito sui parapetti dei ponti sul Tevere, spericolatissimo aspirante suicida, come pure si sarebbe mostrato nudo a piazza Navona, su un palco dei radicali che, pur tolleranti, presero a evitarlo come la peste. Schiaffeggiò Moravia e ne ebbe in cambio da Amanda Lear, oltre che da un numero spropositato di poliziotti, guardiani e body-guard nel corso della sua carriera di inesorabile guastatore professionale di eventi. Lo si incrociava dovunque e a qualunque ora, in quegli anni. Una notte al festival di Spoleto penetrò nella stanza riservata a Menotti facendosi trovare a letto con il pigiama del maestro. L´anno dopo, fasciato come una mummia, irruppe sul palcoscenico rovinando la prima de "Il lebbroso". Cavallo pazzo, ma davvero. Al festival di Sanremo balzò addosso a Pippo Baudo e gli diede una ginocchiata sui santissimi rubandogli il microfono per venti interminabili secondi. Alla mostra del cinema di Venezia s´arrampicò su un pennone strofinandosi la bandiera americana sul sedere. Riuscì a fare un numero pazzesco anche in Vaticano, col Papa che se lo vide di colpo a un metro, urlante e gesticolante. Né mai tralasciò presentazioni di libri, sfilate di moda, premi letterari e quando decise di dedicarsi al calcio, o meglio alla Roma, divenne presto un mito delle invasioni di campo. Non era affatto chiaro perché lo facesse. Ma intanto lo faceva, proprio come Zelig, temerario e instancabile, dividendo il tempo fra ragazzi di vita, artisti affermati, giovani freak, giornalisti smaliziati, rudi coatti e politici fra loro incompatibili, da Craxi, che gli volle bene fino all´ultimo (il carteggio è nell´archivio on line della fondazione), fino a Sbardella, al quale Cavallo Pazzo aveva promesso un busto in marmo che ovviamente lo Squalo non vide mai. Protagonista inatteso e insieme parassitario, soggetto ad alto contenuto d´informazione, arrivò ad autoproclamarsi figlio segreto di Guttuso, come pure depositario dei segreti dell´omicidio Pasolini, fonte di Oriana Fallaci. Una vita di espedienti, prestiti, furti, mangiate a sbafo, compravendita di quadri di scarso valore, pittore lui stesso, alla fine, e truffatore, scenate e fughe, una dopo l´altra, arresti, processi, inaudite e poetiche generosità. Fino a quando, dopo essere stato seriamente incarcerato e ancor più seriamente essersi ammalato, non senza aver messo su un´ultima festicciola con i pazienti e gli infermieri del San Camillo, Cavallo Pazzo se ne andò, forse persino pacificato, nel 1996, ad appena 41 anni. Per chi abbia trovato interessante tutto questo, la notizia è che è appena uscito un libro di oltre 300 pagine, "Assalto alla diligenza - quando Appignani rinacque Cavallo Pazzo" (Memori, 18 euro), scritto con tenera e solenne partecipazione da quello che fu a lungo il suo amico del cuore, Marco Erler, ai tempi "Nuvola Rossa". Ciascuno vi trova un po´ il suo Cavallo Pazzo, attraversando il personaggio "la vita delle persone che incontrava come un essere misterioso, un alieno - scrive Carlo Caracciolo nella prefazione - Così che, quando era lontano, chiunque lo avesse conosciuto ne aveva un ricordo diverso da quello di tutti gli altri: per alcuni era un sognatore, per altri un ladro, per alcuni un generoso, per altri un mitomane, per alcuni un artista, per altri un malato. C´era chi lo evitava a ogni costo, chi stava ad ascoltarlo affascinato, chi chiamava la polizia". Oltretutto Appignani aveva il gusto e forse anche la croce del travestimento: sta di fatto che per compiere i suoi blitz a seconda delle esigenze si improvvisava prete, cameriere, commissario di Ps, ufficiale di Marina. Come in un romanzo picaresco ambientato nella Roma degli anni settanta e ottanta Erler canta la gloria tecnica dell´impostura per nobili fini. Racconta il coraggio e la fantasia che consentirono le "esplosioni insurrezionali" di Cavallo Pazzo. Spiega che lo faceva per rivelare l´apparenza, la finzione, la messa in scena, gli inganni del potere. Può essere. Anche dopo tanti anni, con Mario Appignani, può ancora essere tutto, e così sia.
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