NO alla discarica di via Ardeatina (Falcognanna, che non c'entra quasi un cazzo col Santuario che sta vicino al Raccordo...lì il business sò le case...)
12:20 - Vacanze rovinate per Delio Rossi: nella notte di domenica scorsa, alcuni ladri si sono introdotti nella sua villetta a Foggia portando via quadri, pezzi di argenteria e altri oggetti di valore tra i quali trofei vinti da giocatore e allenatore. L'ammontare del furto è di qualche migliaia di euro. L'allenatore, che risiede a Roma, è legato alla città pugliese: di Foggia è sua moglie e lui stesso ha vestito per 6 anni la maglia rossonera dei locali.
La band napoletana 99 posse aggredita da un commando con svastica
Venerdì, 7 giugno 2013 - 11:21:00
Erano pronti a salire sul palco a Velletri per esibirsi quando sono stati aggredite in modo violento da uan ventina di persone armate. Un'onda di violenza che ha travolto la band partenopea 99 posse, Storico gruppo nato nel centro soaciale napoletano. L'aggressione era stata pianificata nei minimi dettagli dato che il commando è riuscito ad arrivare indisturbato a contatto con un fonico del gruppo e con il cantante Luca "Zulù" Persico. Aggrediti con cinture e altri oggetti contundenti i due hanno riportato diverse ferite e solo il tempestivo intervento della sicurezza del locale ha scongiurato ulteriori conseguenze.
Sul profilo ufficiale la band si scusa con il pubblico per non aver potuto suonare e sottolinea che si tratta di "un fatto grave che si inserisce in una sempre più preoccupante recrudescenza dell'estremismo fascista in Europa e in Italia". Il commando composto da una ventina di persone con simboli di estrema destra, potrebbe essere responsabile anche del lancio di una molotov contro il portone del centro sociale Astra 19 nel cuore del Tufello a Roma, al piano terra di una casa popolare abitata da decine di persone. Le forze dell'ordine stanno indagando sui entrambi i casi che vengono accostati al clima avvelenato della campagna elettorale per le Comunali a Roma.
Ad una settimana dalla violenta repressione che tentò di non far svolgere un'assemblea pubblica con le lavoratrici della Sodexo in piazza Verdi a Bologna, assemblea poi svoltasi regolarmente, oggi gli studenti incuranti del divieto della Questura e dei manganelli si sono nuovamente ripresi la piazza, la stessa piazza, CACCIANDO GLI SBIRRI, così come si può vedere
Bologna: la polizia scappa da Piazza Verdi. Oggi si vince, per davvero! Alle 18h gli studenti e le studentesse dell'università di Bologna organizzati nel Collettivo Universitario Autonomo, come annunciato, da via Zamboni 38 megafono in mano si avvicinano verso piazza Verdi per allestire l'assemblea pubblica di analisi dei fatti di giovedì scorso. All'altezza di via Zamboni 32 trovano davanti a loro un primo schieramento di celerini e carabinieri, che insieme ai vigili dicono che non li lasceranno passare e che non possono accettare che entrino in piazza con il megafono.
Dopo poco la celere si schiera ad imbuto proponendo al gruppo di passarci in mezzo per raggiungere la piazza. Gli studenti che erano già aumentati di numero rifiutano con decisione l'umiliazione e il sopruso dal sapore cileno architettato dai dirigenti della piazza. E iniziano gli slogan: "assemblea, assemblea, assemblea!", "vergogna", "fuori gli sbirri da piazza Verdi!". Un compagno dal megafono grida: "è nostro diritto raggiungere la piazza per costruire all'assemblea che avevamo indetto. Non accettiamo di essere scrutati o di passare in mezzo alle forche caudine. Levatevi da qui che non siamo disposti a cedere alcuno dei nostri diritti". Intanto i primi cordoni si stringono.
"Assemblea, assemblea!", e gli studenti e solidali aumentano, chiamati dai social network che pubblicano cronache e foto di quanto sta accadendo. Passano decine di minuti e mentre arriva mezza questura in piazza Verdi con altri celerini schierati, il numero dei manifestanti aumenta. Le guardie non cedono, sono determinate a reprimere la piazza, ma in risposta la determinazione degli studenti e delle studentesse aumenta. I cordoni premono sui celerini, le prime manganellate colpiscono le teste, e le scudate si alzano per tagliare le braccia e i colli. Ma nessuno indietreggia. "Assemblea, assemblea!", e si spinge in avanti ancora, non curanti delle mazzate, "piazza Verdi è nostra!", e anche gli studenti che ai lati erano rimasti a guardare rispondono agli slogan e si avvicinano alle guardie, che fanno i primi passi indietro.
Ma le cariche, schizofreniche si ripetuno: due, tre, quattro, cinque. I manifestanti vanno avanti e i carabinieri e la celere indietreggiano, indietreggiano e poi di corsa si danno alla fuga: "carica!" grida la piazza, mentre le guardie in fuga raggiungono le camionette a Largo Respighi e vi si rifugiano. "Abbiamo vinto!", e questa volta per davvero! Inizia l'assemblea, numerosissimi interventi si succedono: il CUA, i compagni e le compagne di Hobo e molti studenti e solidali rilanciano subito con gli appuntamenti per domani. [Guarda un primo video]
La giornata di oggi con la messa in fuga della celere e la conquista di Piazza Verdi ci restituisce una significativa immagine di conflitto sociale che promette di avere le sue durate. Dopo gli eventi della scorsa settimana all'Unibo non si è fatto il passo indietro che le autorità cittadine si auguravano. Al contrario si sono fatti passi avanti che segnano la possibilità di organizzare antagonismo sociale e contrapposizione politica alla crisi.
La legittima rigidità degli studenti e delle studentesse di esercitare in maniera conflittuale il proprio diritto d'espressione politica ha messo in fuga le istituzioni dell'1%, che a piazza Verdi oggi non sono passate, e in futuro non passeranno, se non con grandi sforzi, e dovendo affrontare la gioiosa intransigenza dei compagni e delle compagne.
"Come ha senso ROMA 1927, ovvero tutto il mondo deve sapere che a Roma c'è una squadra che si chiama ROMA ed è nata nel 1927... Poi ci sono altre 1000 squadrette che non contano un cazzo tipo Palestra Santuzzi, S.S.Lazio o Corviale Calcio."
Umberto Ambrosoli non ce l’ha fatta e mentre il consiglio regionale della Lombardia commemorava Giulio Andreotti, morto ieri, è uscito dall’aula del consiglio regionale della Lombardia. L’avvocato, candidato del centrosinistra alla poltrona di governatore conquistata da Roberto Maroni, non ha partecipato alla cerimonia e al minuto di silenzio rispettato per ricordare l’uomo politico più controverso e discusso della storia repubblicana italiana.
Tutti i consiglieri, compreso il segretario della Lega Maroni, hanno ascoltato in piedi il discorso del presidente Raffaele Cattaneo. Ma non Umberto, figlio di Giorgio il commissario liquidatore della Banco Ambrosiano assassinato nel 1979 dai sicari di Michele Sindona. Interpellato, il suo staff ha spiegato che non ha voluto fare “polemiche né commenti per rispetto alla morte di una persona”, ma che non ha voluto condividere la commemorazione. Il discorso per ricordare il senatore a vita è stato ascoltato in silenzio e in piedi dai consiglieri di maggioranza e di opposizione.
”Ho una storia personale che si mischia” coi lati oscuri di quella di Andreotti, “ma non è il caso di fare polemiche: è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma chi ne fa parte faccia i conti con la propria coscienza” ha detto ai giornalisti Ambrosoli. “E’ comprensibile – ha argomentato è il coordinatore dei gruppi di centrosinistra al Pirellone – che in occasione della morte di persone che hanno ricoperto ruoli istituzionali di primo piano le istituzioni le commemorino. Ma le istituzioni sono fatte di persone, ed è legittimo che queste facciano i conti con il significato delle storie personali”.
Il figlio dell’eroe borghese, come venne definito in un libro di Corrado Stajano, non è entrato nei dettagli della vicenda drammatica che ha coinvolto la sua famiglia né nei rapporti che vari procedimenti giudiziari hanno rintracciato fra Andreotti e Sindona (quest’ultimo condannato come mandante dell’assassinio), e senza citare quella definizione data dallo statista Dc a proposito del padre, uno “che in termini romaneschi se le andava cercando”.
Era il 2010 quando, in una puntata de “Lastoria siamo noi”, Andreotti rispose così sul perché, secondo lui, Giorgio Ambrosoli era stato ucciso: “Questo è molto difficile, io non voglio sostituirmi né alla polizia né ai giudici”, rispose il senatore a vita guardando a un tempo in cui ricopriva cariche di governo al massimo livello. “Certo – aggiunse subito Andreotti – era una persona che in termine romanesco direi se l’andava cercando”. Una frase che, insieme ai rapporti personali fra il sette volte presidente del Consiglio e il banchiere Sindona, condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, è sicuramente ben presente nei pensieri del figlio Umberto.
Ai giornalisti l’avvocato, che ha fatto della pacatezza la sua cifra di espressione, ha ribadito che “ci sono lati oscuri della vita di Andreotti verso i quali ciascuno ha la sua sensibilità” al di là del rispetto per una persona deceduta: “Questi elementi – ha concluso Ambrosoli – continuano anche nel momento del ricordo, pur senza polemiche”.
Il presidente del consiglio lombardo Cattaneo ha ricordato l’ex premier democristiano sottilineando che “il suo percorso politico e istituzionale si radica nella sua formazione culturale maturata sull’impronta di un cattolicesimo popolare e fedele alla tradizione che ha rappresentato per tutta la vita il riferimento del suo agire dentro e fuori le istituzioni”. “Al di là delle opinioni differenti che legittimamente si possono avere sulle ombre e sulle vicende giudiziarie che ne hanno segnato la vita negli ultimi anni – ha proseguito -, sono comunque esemplari la temperanza, il rispetto delle istituzioni (inclusa la magistratura) e l’umiltà con cui ha affrontato il giudizio dei tribunali”. Dunque, ha concluso il presidente del Consiglio regionale lombardo prima di chiedere il minuto di silenzio alla memoria di Andreotti, “con la sua scomparsa se ne va un pezzo della storia italiana, dunque qualcosa che appartiene a tutti, amici e avversari politici”.
“Quando si opera nelle istituzioni, ci sono responsabilità collettive che trascendono le valutazioni squisitamente personali” dice Cattaneo. “Rispetto le ragioni personali e neppure io voglio alimentare polemiche, ma – dice l’esponente del Pdl – sono rimasto francamente sorpreso dalla scelta di Ambrosoli di uscire volontariamente dall’Aula”. Per Cattaneo, “la commemorazione si è tenuta in un clima non di celebrazione, ma di giusto omaggio al percorso politico di un uomo delle istituzioni che, seppur nelle vicende alterne, come tra l’altro ho ricordato anch’io nel mio intervento, ha indelebilmente segnato la vita del nostro Paese e ha contribuito da protagonista alla costruzione della democrazia in Italia dal dopoguerra ai nostri giorni”.
Per Maroni invece quello di Ambrosoli “non è stato un gesto elegante nei confronti di un politico che ha segnato la storia d’Italia”.