|
GIARDINETTE
La morte di Lucio Dalla mi ha fatto venire in mente che, quando ero piccolo, in ogni giardinetta dei Parioli vi era una cassetta di Lucio Dalla, o almeno la sua custodia di plastica. Di solito erano abbandonate nel ripiano sotto il cruscotto, oppure dentro le aperture degli sportelli; altre volte erano sparpagliate per terra, sui sedili, o nel bagagliaio. Accanto alla cassetta di Lucio Dalla ce n’era anche una degli Stadio, di Claudio Baglioni, di Antonello Venditti e di Fabio Concato. Questo pensiero mi ha fatto riflettere su una serie di nostalgie dei vecchi Parioli.
Dove sono finite le giardinette? Nella seconda metà degli anni ottanta erano l’automobile-simbolo del quartiere. Ogni modello di berlina aveva la sua versione station wagon: BMW e Mercedes per i più ricchi, poi un trionfo di Alfa 33, Golf, Passat, Citroen, Ford Mondeo - per non parlare della vecchia Mini, giardinetta da veri dandy…L’avvento della Volvo Polar – il non plus ultra del genere, con la sua lunghezza esagerata, il suo minimalismo nordico e le sue linee squadrate – mi colpì profondamente, perché – affacciato alla finestra su viale Parioli di casa dei nonni - non riuscivo a immaginare quanto forza ci volesse nelle braccia per far girare una macchina del genere. Le giardinette, tanto vituperate nei libri dei giovani scrittori finto-ribelli e anti-borghesi dell’epoca (di solito la station wagon era accomunata a “figli e bollette” nel trittico da suicidio che avrebbe dovuto seguire il matrimonio), hanno rappresentato un benessere a quattro ruote educato, elegante, comodo, per tutta una generazione di giovani famiglie di Roma nord.
Sembra un’altra epoca. Oggi l’automobile-simbolo del quartiere è la Smart. E’ evidente, in entrambi i casi, il cambio culturale che è intercorso. La giardinetta è la macchina socialite per eccellenza, perché permette di passare a prendere gli amici per andare a cena, di partire insieme per una domenica al mare, di fare un week-end lungo in montagna. È una macchina che permette alle madri di riportare a casa dal nuoto le figlie delle amiche, ai padri di accompagnare allo stadio i compagni di classe del figlio, ai giovani patentati di non perdersi – o almeno di perdersi in gruppo- se si va all’Olgiata. La giardinetta si apre agli altri, condivide le esperienze, invita a stare insieme. La Smart invece è una macchina profondamente individualista, da uomini single, da donne sole, da coppiette – che poi sempre di solitudine si tratta. Con la Smart non si può passare a prendere nessuno, non si può fare un viaggio fuori porta, non ci si può aiutare. È una macchina che si chiude agli altri, è egoista, serve solo a sè stessi. Neanche il cane dietro, c’entra.
Sono scomparse le famiglie, i bambini, la voglia di stare insieme? In parte sì, e quindi le giardinette non servono più, sono scomode, meglio la Smart; in parte no, ma c’è stato l’avvento dei SUV, che, quanto a volgarità, aggressività e omologazione, stanno alle vecchie giardinette come i nuovi vestiti a tre bottoni di negozio stanno ai vecchi due bottoni di sartoria.
Non solo. La Smart vive di risentimento, di posteggi inventati, del gusto squallido di poterla fare franca. Con la giardinetta non ci si poneva il problema del parcheggio, sia perché erano altri tempi (poche macchine, niente strisce blu, zero vigili), sia perché tanto era impossibile parcheggiarla, a parte in poche zone (intorno a Villa Balestra soprattutto; quante giardinette in fila su via Bartolomeo Ammannati!). Se si andava a fare colazione al Cigno si poteva lasciare tranquillamente la giardinetta in seconda o terza fila (concetti repressivi che peraltro ancora non erano stati inventati, la strada era di tutti). Nessuno si sarebbe azzardato a suonare il clacson in maniera violenta per poter uscire, ma sarebbe entrato al bar e avrebbe chiesto con cordialità di chi era quella bella Polar viola. Sarebbe uscito il libero professionista con la grisaglia grigia di Vassena, se durante la settimana, o la polo pastello di Cenci, se di domenica, con le labbra ancora sporche di cappuccino, a spostarla. Nella quasi totalità dei casi i due personaggi si sarebbero addirittura scoperti conoscenti, e avrebbero approfittato dell’incontro fortuito per organizzare un gin piacevole a casa di uno o dell’altro. Oggi, come minimo, rischia di comparire un pelato con il pizzetto e la pashmina, il piumino lucido e le Hogan, oppure una dipendente di qualche ufficio legale con i capelli sporchi e il pantalone nero, e si rischia la crisi di nervi per un secondo di ritardo, perchè tutti sono stanchi, stressati, nervosi.
La Smart è la macchina del nuovo ceto medio che si è impossessato dei Parioli, con le stampe Ikea di Audrey Hepburn alle pareti, mentre le giardinette ci ricordano i tempi della vecchia borghesia illuminata, quando serviva lo spazio dietro per portare a casa il quadro, l’alzatina o la consolle dal negozio dell’antiquario.
Tornando a Lucio Dalla, nelle giardinette si incontravano cassette conosciute. Profondamente nazionalpopolare, amante della musica leggera, l’autoradio delle giardinette offriva al passeggero la consolazione di una melodia nota, che tante volte aveva risuonato nella propria macchina o nelle serate danzanti a bordo piscina. Balla balla ballerino, Ma che domenica bestiale, Alta marea, Vai vai, anche la musica era un momento di condivisone, di affratellamento, di riconoscersi amici. Senza inutili pretese intellettualistiche, senza l’ansia di differenziazione a tutti i costi, senza lo snobismo della nicchia, nelle giardinette ascoltavamo le canzoni che ascoltavano anche gli altri, perché in quelle canzoni ritrovavamo noi stessi e il nostro ambiente. Non c’era voglia di essere diversi perchè ci piaceva avere gusti comuni. Tutto è cambiato oggi. Guardo nella retina dello sportello della Smart e ci trovo i cd di Atlas Sound, Laetitia Sadier, Real Estate, The Wild Swans, Destroyer…ma chi canterà queste canzoni con me? A cosa mi servirà sentirmi più raffinato, più attento, più curioso nei miei gusti musicali, se la conseguenza è una fredda solitudine? Ecco che anche la musica che si ascolta nelle nuove macchine dei Parioli – nient’altro che monadi - è terribilmente inospitale, diffidente, respingente. Non importa quanto siano cool questi dischi, e quanto siano cool queste macchine, se entrambe ci portano verso un disperato e sterile individualismo, se le ragazze che accompagniamo a casa non conoscono le parole, se ci rendono più soli.
|