Un coro: botte, umiliazioni e manette
Il rientro a notte fonda, attesi da parenti e amici insieme a Lucarelli
«Impossibile dormire o andare in bagno Alle ragazze i poliziotti dicevano “siamo fuori, entriamo”. E si sono viste anche le armi»
DONATELLA FRANCESCONI
LIVORNO. Stazione centrale, una e mezza passata, il primo pullman con i tifosi amaranto trattenuti in questura a Roma dopo la partita con Lazio viene salutato da una folla di amici e parenti commossi e furibondi. I primi tifosi trattenuti ventiquattr’ore dalla Questura della capitale, per un fermo identificativo che il codice penale fissa in metà tempo, scendono intonando in un unico coro “Bandiera rossa”, pugni chiusi e slogan contro le forze dell’ordine sentiti altre volte in curva nord. I gas irritanti. Alcuni, tra i genitori dei più giovani, si sciolgono in lacrime. Ai figli gli occhi brillano di commozione, ed è forse l’unica volta che l’abbraccio di mamma fa piacere anche davanti agli amici. Ma gli occhi bruciano anche per l’impiego di gas irritanti utilizzati - è la testimonianza unanime - durante la carica alla stazione di Roma San Pietro. Se no spariamo. Un quindicenne ha ancora gli occhi arrossati e lo sguardo terrorizzato. Ma non si sottrae, come molti altri, al testimoniare davanti ai giornalisti l’esperienza vissuta: «Quando hanno buttato il gas nel treno - racconta - abbiamo messo la testa fuori dai finestrini e ci siamo sentiti gridare “dentro, tutti dentro, se no spariamo”. Poi il macello, dentro i vagoni dai quali ci hanno fatto scendere per farci sedere sui binari, sotto la pioggia. A chi si metteva il cappuccio minacciavano di picchiarlo. Siamo rimasti così per due ore». Ammanettati. Qualcuno, anche minorenne, è stato ammanettato come racconta il padre di un ragazzo di 17 anni che ha subìto lo stesso trattamento: «Mentre erano sui binari sono stati insultati e presi in giro. Gli dicevano: “Cantala ora Bella ciao, cantala Bandiera rossa, e poi calci e ancora “coniglio comunista”. Poi li hanno stipati sui pullman al punto che non riuscivano a muoversi. Mio figlio è pieno di lividi lasciati dalle manganellate, ha preso un pugno sul naso, ed è ancora sconvolto per il periodo che ha trascorso ammanettato. Io non sono di quelli che non crede nelle istituzioni e nella polizia, anzi. Ma sul quel treno è stato picchiato anche chi non era tifoso. E poi, cosa vuol dire trattenere i minorenni, senza che potessero dare notizie alle famiglie?». Racconti multimediali. Su qualche telefonino scorrono immagini “rubate” degli scontri, delle stanze dell’ufficio immigrazione, si sentono gli audio concitati. Intorno al proprietario del videotelefonino si formano capannelli di gente, si parla di riversare tutto il materiale su Cd, l’idea è quella di un libro bianco sui maltrattamenti che raccolga anche il materiale multimediale. Appoggiato in un angolo a guardar sfilare i pullman che scaricano i tifosi, c’è Cristiano Lucarelli, venuto a vedere di persona il ritorno dei tifosi amaranto. Starà lì fino alle tre, ad ascoltare testimonianza dopo testimonianza. Le ferite. Telecamere e flash scattano nella notte: occhio e zigomo gonfio e già multicolore, un altro occhio cerchiato di nero. Il giovane ferito racconta: «era completamente chiuso fino al pomeriggio. Me lo sono aperto da solo, perchè se aspettavo soccorso...». Spunta il primo referto, tre costole rotte: lo sguardo di chi racconta come è accaduto è perso nel vuoto, allucinato, la voce si spezza mentre ripercorre la scena alla stazione San Pietro, «i calci nei fianchi, e noi tutti giù, perché continuavano a dirci di “abbassare la testa”». Le umiliazioni. È l’umiliazione che brucia più delle ferite, più di quella garza doppia cucita in testa insieme ai punti «perché la ferita era così ampia che non c’era altro modo», spiega il proprietario del cranio rotto. Umiliazione che è tutta nelle parole della giovane tifosa che spiega: «Neanche andare al bagno, perché era tutto aperto e il poliziotto lì che ci diceva “adesso entriamo”. E poi le cose che si dicono alle donne, fa male anche ripeterle». Senza dormire. I racconti continuano con quello che è successo alla stazione romana, ma anche il dopo, le 24 ore nelle stanze del centro immigrati per la fotosegnalazione, impronte e foto da confrontare con i filmati girati allo stadio per valutare chi e per cosa denunciare. «La cosa più tremenda è stata non riuscire a dormire. Appena qualcuno si appisolava arrivavano i poliziotti, urlavano, facevano rumore. Dovevi stare sveglio per forza, con la paura delle botte, degli insulti, di tutto quello che non avevi ancora visto e avresti potuto vedere». Passano i carabinieri. Il terzo pullman non è ancora arrivato, le due e mezza della notte sono scoccate, a fari spenti scivola via lungo l’ingresso della stazione una macchina dei carabinieri. I tifosi appena tornati se ne accorgono, l’adrelina è alle stelle, partono urla e un accenno di inseguimento, la scintilla brilla per un attimo e subito si spegne. Nella notte del rientro e della tensione il passaggio dei militari sembrava decisamente più casuale che voluto. Consigliere comunale. Alberto Benedetti, capogruppo di Rifondazione a Collesalvetti, era con i tifosi amaranto: «Ci hanno ammassati - ha raccontato tornando - in un salone in attesa delle identificazioni e siamo stati derisi. Ho visto personalmente un poliziotto prendere a calci un paio di ragazzi che si erano addormentati perché non avevano risposto all’appello. Per ore non ci hanno fatto usare il bagno. Alla stazione di San Pietro ho sentito il racconto di molti tifosi che avrebbero visto gli agenti di polizia estrarre perfino la pistola e puntarla contro i livornesi».
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